Lo scorso 5 aprile a Marnate è stato inaugurato AliBlu, servizio per minori con autismo e le loro famiglie. Una data, quella dell’inaugurazione ufficiale, a ridosso della Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo, istituita nel 2007 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e che quest’anno si è celebrata martedì 2 aprile. Una ricorrenza che pone all’attenzione di tutti il rispetto dei diritti delle persone con disturbi dello spettro autistico e che vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di garantire alle persone autistiche una vita piena e soddisfacente, contrastando la discriminazione e l’isolamento di cui sono ancora oggi vittime le persone autistiche e le loro famiglie
Per la maggior parte della persone comprendere le difficoltà che deve affrontare chi è colpito da disturbi dello spettro autistico e le loro famiglie non è facile, anche se nel tempo si sono moltiplicate le occasioni di riflessione e di presa di consapevolezza, come il Festival In&Aut, che quest’anno si tiene da venerdì 17 a domenica 19 maggio a Milano: tre giorni di dibattiti, approfondimenti e testimonianze «per costruire insieme un futuro diverso per chi non può farlo da solo».
Che è proprio ciò che si propone Aliblu, il progetto di Solidarietà e Servizi per i territori di Castellanza-Valle Olona, Busto Arsizio e Gallarate, che è stato reso possibile grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo tramite il Programma Formula e in collaborazione con Cesvi Onlus.
Durante l’inaugurazione, Maristella, mamma di Vincenzo, ha raccontato la sua esperienza. Una testimonianza toccante, che riesce a far comprendere più di mille discorsi, articoli e dibattiti e che, per questo, affidiamo integralmente alla vostra lettura.
«La nostra storia è quella di tanti genitori che hanno avuto una diagnosi di autismo per il proprio figlio. Vincenzo, fino a poco prima della diagnosi, ci sembrava un bambino normalissimo, poi verso i 2 anni qualcosa è cambiato. Il momento della diagnosi e i mesi successivi sono stati i più brutti della nostra vita, immaginavamo che nostro figlio avrebbe avuto una vita normale con soddisfazioni a scuola, magari l’università, gli amici, una sua famiglia. In quei momenti il futuro di Vincenzo e della nostra famiglia ci è sembrato come in cielo nero di nuvole, completamente incerto. La cosa peggiore era vedere Vincenzo che si allontanava sempre più da noi, non ci rispondeva, non si girava, non ci guardava mai negli occhi. Era come se lo stessimo perdendo piano piano, come se non ricambiasse il nostro affetto, sembrava ci considerasse degli oggetti. Ci sentivamo totalmente impotenti».
«Per quasi sei mesi mio marito e io passavamo le sere a piangere e a farci domande sul futuro nostro e di Vincenzo, senza mai risposta. Siamo qui da soli, come faremo? E lui che vita avrà? Si renderà conto? Cosa succederà quando non ci saremo più? La domanda che tuttavia finiva per sopraffarci la sera era: perché? Perché proprio a noi? Sarà per quella cosa che ho mangiato in gravidanza? Per la caduta? L’inquinamento? Non c’era niente da fare, il bisogno di dare una spiegazione era sempre presente ed era frustrante rimanere ogni volta senza risposta. La cosa strana dell’autismo è che una volta che il neuropsichiatra comunica la diagnosi, da un lato ci si sente liberati dall’aver dato un nome al problema, dall’atro si è lasciati praticamente soli nell’affrontare questa situazione. L’ultima riga della dimissione diceva: “si consiglia terapia cognitivo-comportamentale”. Ma che cos’è? Chi la fa? Dove?».
«Credo come tutti, ci siamo messi a cercare su internet e con fatica abbiamo trovato un’analista del comportamento e delle terapiste che hanno seguito Vincenzo. Abbiamo capito che in quest’ambito il sistema sanitario nazionale non riesce a soddisfare pienamente i bisogni di questi bambini, qualsiasi terapia che vuole essere precoce è per forza privata. Tra l’altro, la ricerca di terapiste competenti e volenterose è lunga e difficile, per noi è stata la difficoltà principale. In questi anni abbiamo cercato di aiutare Vincenzo in tutti i modi, lui ha lavorato sodo ed è migliorato molto, a noi è costato tanto in termini economici, di fatica, di sacrificio. Negli anni si sono avvicendati diversi terapisti, consulenti, associazioni, insegnanti di sostegno».
«Quando siamo giunti ad AliBlu ci siamo subito sentiti ascoltati e abbiamo visto una realtà concreta che possa aiutare noi famiglie a non sentirci soli, perché il rischio è quello di trovarsi soli in questa fatica, come è successo a noi negli anni successivi alla diagnosi. Quello che ci colpisce è la contentezza di Vincenzo quando viene ad AliBlu, è proprio felice ed esce sempre sorridente. Vedendolo sereno ci siamo resi conto che, nonostante abbiamo passato anni a cercare “cure”, oggi desideriamo solo che Vincenzo sia felice. Ritengo che le famiglie con bambini autistici non abbiano tanto bisogno di una soluzione a un problema, quanto la possibilità di vivere un’esperienza concreta e condivisa. AliBlu ci aiuta ad andare in questa direzione: è l’esempio di quello che possiamo definire “cultura dell’accoglienza”. Quando lasciamo Vincenzo non vediamo persone che svolgono un lavoro, ma persone attente a comprendere ogni bambino con le sue difficoltà e punti di forza».