In scena una “Santa Impresa”

Solidarietà e Servizi ha festeggiato i suoi 45 anni anche con uno spettacolo teatrale aperto al pubblico

Un particolare della locandina dello spettacolo teatrale “Santa Impresa”

Un’ora e mezza di silenziosa attenzione e concentrazione per le oltre 150 persone che hanno riempito lunedì 18 novembre la Sala Pro Busto del Comune di Busto Arsizio. In scena lo spettacolo “Santa Impresa”, prodotto da Equivochi Compagnia teatrale con Beatrice Marzorati e Davide Scaccianoce.

L’occasione? I festeggiamenti per i 45 anni di Solidarietà e Servizi. Si tratta del secondo evento proposto per celebrare questo importante anniversario, in continuità con “Parole in musica”, il concerto del laboratorio di canto dei Centri Socio Educativi, tenutosi lo scorso ottobre.  «Abbiamo cercato di trasmettere in musica il nostro slogan “MAI PIÙ SOLI”. Ma da dove arriva questa concezione che cerchiamo di portare ogni giorno in quello che facciamo?»

Ecco allora Santa Impresa. «Il desiderio era quello di mettere in scena le caratteristiche di un’opera che si prende cura dei bisogni delle persone: professionalità e competenza insieme a un’umanità vera a profonda» – racconta Domenico Pietrantonio, Presidente del Consiglio di Gestione della Cooperativa.

LO SPETTACOLO

Santa Impresa, è il racconto della straordinaria impresa che realizzarono i Santi Sociali Piemontesi a Torino durante l’Ottocento: Giuseppe Cafasso, il prete dei condannati a morte; Juliette Colbert, la madre delle carcerate; Giuseppe Cottolengo, “il cavolo di Bra”, fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza; Francesco Faà di Bruno, il padre delle serve; Leonardo Murialdo, il direttore del Collegio degli Artigianelli, il difensore degli operai; infine, Giovanni Bosco, il prete dei ragazzi, il prete dei sogni, il prete di furia e di vento. Tutti loro avevano la consapevolezza di essere parte di una magnifica intrapresa, un’impresa comune.

Il titolo “Santa Impresa” dice tutto. Si tratta di un’Impresa, dunque attività, opere, iniziative che devono essere organizzate, per rispondere ai bisogni. Un’impresa che al contempo è Santa: c’è un approccio, un’attenzione alle persone che viene da una certa storia e da un particolare  sguardo alla persona.

«Abbiamo scelto questo spettacolo – continua Pietrantonio –  perché queste caratteristiche sono le stesse che cerchiamo di vivere ogni giorno e per ciascuna delle oltre 5.000 persone disabili e fragili delle quali ci prendiamo cura. Gli attori hanno reso in modo immediato e anche non pesante (un’ora e mezza di spettacolo senza intervallo) l’origine di quelle opere: persone commosse dal bisogno, dentro una storia, quella della Chiesa, e amiche tra loro, che hanno anche innovato di fronte ai bisogni che emergevano nella società del tempo, facendo i conti con la scarsità delle risorse e con tutti gli aspetti organizzativi e gestionali che le attività richiedevano. Noi, pur con i limiti e gli errori, ci sentiamo umilmente dentro questo flusso di umanità, di capacità d’intrapresa, di opere che possono essere qualificate e definite imprese sociali.»

UN COPIONE DA FAR VIVERE

«Io e Beatrice – testimonia Davide Scaccianoce, uno degli attori dello spettacolo – lavoriamo insieme da 12 anni, da 10 portiamo in scena Santa Impresa. Il testo originale è di Laura Curino e Simone Derai che lo hanno messo in scena originariamente. Laura poi, a causa di impegni di lavoro sempre più pressanti, ci ha affidato il copione e ci ha chiesto di tenerlo vivo. Da allora abbiamo potuto portarlo in giro, ideando una versione con una scenografia adatta anche a spazi non teatrali.

Quello che personalmente mi colpisce è che questi uomini erano coevi, si sono conosciuti e hanno collaborato per risolvere i bisogni del prossimo. Cercavano di prendersi cura degli ultimi, là dove lo Stato non c’era. Hanno rischiato con i loro mezzi e le loro vite, sono stati innovatori e pionieri: le loro opere sopravvivono tuttora, la loro eredità sostiene poveri e bisognosi. Oggi c’è un grande bisogno di questo.»

UNA PASSIONE PER LE PERSONE

In scena, dunque, la vita di uomini e donne veri, diversi tra loro, ciascuno con il proprio temperamento, con i propri pregi e limiti. Tutti però accomunati da una grande passione per le persone che li ha portati a costruire – con intelligenza e creatività – opere nuove per i nuovi bisogni dell’epoca. «Se le persone sono al centro dei tuoi pensieri – ascoltiamo nel testo –  capisci che non hanno bisogno soltanto di essere nutrite e vestite. Hanno bisogno di realizzare i loro desideri, di dimostrare le loro capacità, di sentirsi parte dell’impresa e di contribuire alla sua sopravvivenza.»

Ma allora, che cosa resta di questi uomini e donne al di là di una fotografia su un “santino”? «Resta la loro passione. Che sia questa la santità? La passione di chi, ogni giorno – anche se si fatica, anche se non si ha voglia – si alza e fa, intraprende, ricerca, crea, educa, cura, non soltanto per sè (anche per sè) perchè un giorno qualsiasi ha alzato lo sguardo e ha visto il volto degli altri.»