“Custodi di desideri, costruttori di fiducia”
Solidarietà e Servizi continua a investire nella formazione dei propri operatori: l’incontro con il professor Colli ha permesso un approfondimento sugli aspetti fondamentali del prendersi cura delle persone con disabilità

Sono i desideri che portano dalla speranza alla fiducia. Perché «se la speranza è l’atto creativo che ci fa superare le difficoltà porta all’atteggiamento del “tentare sempre”, le esperienze positive aprono la disposizione alla fiducia. Ma sono i desideri che cambiano prospettiva: il prendersi cura è disponibilità verso l’altro, è attenzione al suo desiderio». Paolo Colli, pedagogista e formatore, già docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il 19 ottobre scorso ha tenuto nella sede di Solidarietà e Servizi e online il corso di formazione “Custodi di desideri, costruttori di fiducia”, al quale hanno partecipato circa 250 tra educatori, ausiliari e coordinatori. Dopo gli anni della pandemia, sono tornati così nella cooperativa sociale i momenti di formazione fondativa dedicati a tutti gli operatori di Solidarietà e Servizi e finalizzati a dare concretezza alla mission sociale: mai più soli … insieme ci riusciamo.
«È questo un momento particolarmente importante», ha introdotto il presidente del Consiglio di Gestione di Solidarietà e Servizi, Domenico Pietrantonio, “in cui rimettiamo a tema gli aspetti fondamentali della nostra visione: “Mai più soli, Insieme ci riusciamo”. «Ed è questa l’occasione per ribadire l’importanza del nostro capitale umano: gli operatori che quotidianamente, con passione e responsabilità, sono chiamati a prendersi cura delle persone con disabilità che famiglie e Comuni affidano alla cooperativa».
Il recente passato ha messo in risalto il tema della speranza. «La pandemia ha funzionato come il luminol: l’essenziale si è reso visibile agli occhi per costruire una convivenza più coesa e innervata di solidarietà e mutualità», ha detto il prof. Colli. «Siamo tutti parte di un corpo sociale, legati da fili invisibili, interconnessi tanto che il comportamento di un singolo è decisivo per la salute degli altri». In una situazione dove «non siamo barche tutte uguali, ma siamo tutti nella stessa tempesta», servono «anticorpi sociali», ha proseguito. «Il nostro mondo e i territori sono risorse di solidarietà. Siamo quindi in grado di rigenerare coesione e di reagire all’individualismo mettendoci in gioco per il bene collettivo». E qui entra in campo quel prendersi cura dell’altro al quale Colli attribuisce una «sacralità». Ha spiegato: «È questa la radice primaria dell’essere uomo. Ci si definisce umani grazie alla capacità di prendersi cura, di sentirsi sollecitati, impegnati, coinvolti e responsabilizzati dalla presenza dell’altro». E proprio nel cambiare prospettiva, andando a identificare il prossimo, è possibile aiutarlo, ovvero prendersene cura. «È il desiderio di chi abbiamo indentificato come nostro prossimo che muove, orienta e alimenta. Misurarsi con il desiderio proprio e degli altri non è perdersi in una sterile e univoca analisi dei bisogni e non è una risposta esclusivamente materiale, ma un incontro di responsabilità dell’operatore che incontra il desiderio di vivere e di crescere di chi ha bisogno». Anche perché «ciascuno di noi ha bisogno, ha avuto bisogno e avrà bisogno di una rete di aiuti».
In questo contesto l’educare, l’essere educatore, diventa arte dove «la disponibilità verso l’altro è attenzione al suo desiderio, alle sue domande, ai suoi discorsi. La capacità di leggere il desiderio dell’altro, senza soffocarlo con il nostro, è la sfida di ogni relazione di aiuto». Una relazione biunivoca e basata sulla realtà che però è capace di dare una nuova lettura all’impegno educativo di chi si prende cura di persone fragili e con disabilità: «È un dispositivo di identità e adattamento», ha concluso.