L’assistenza domiciliare: il rinnovo dei fondi regionali e la presa in carico delle persone con disabilità grave

L’esperienza di Solidarietà e Servizi nel prendersi cura della persona attraverso una progettazione coordinata

«Pronto? Buongiorno Benedetta, vorrei sapere dove hai comprato la palla con la quale mio figlio gioca e si diverte». È domenica mattina, al telefono è la mamma di Francesco (nome di fantasia), un bambino con disabilità grave che chiama l’educatrice di Solidarietà e Servizi per un’informazione che solo all’apparenza può sembrare banale. Quella palla è più di uno strumento di gioco, è una rivoluzione in termini di approccio educativo: Francesco ha sviluppato delle abilità che la famiglia ha imparato a valorizzare. Si tratta solamente di un caso, come ne accadono molti, per ribadire l’importanza dell’assistenza educativa domiciliare.

La Regione Lombardia ha deciso di riconfermare la cosiddetta “Misura B1”, mettendo a disposizione fondi dedicati al sostegno delle persone con disabilità grave e gravissima per interventi al domicilio. «Un educatore opera direttamente a casa della persona, attraverso una progettualità coordinata e inserendosi nelle dinamiche familiari per individuare gli elementi di crescita della persona con disabilità», osserva Raffaella Trapin, assistente sociale e coordinatrice dei Servizi educativi domiciliari erogati da Solidarietà e Servizi, ente accreditato presso Regione Lombardia. «È un intervento che opera su diversi livelli: innanzitutto quello di coordinamento con gli altri enti che rientrano nella progettualità – come possono essere la scuola, il servizio di neuropsichiatria e le attività dei centri – in un lavoro di rete fondamentale; secondo, prevede un confronto diretto con la famiglia, con i suoi pensieri e le sue esigenze; non certo ultimo, c’è il rapporto che si instaura con la persona disabile. È un lavoro importante che permette di fare sintesi e, in un certo modo, di avere un collegamento tra le “mura di casa” e l’esterno. Perché all’esterno sono diverse le professionalità che intervengono e spesso c’è la necessità di operare come dei “traduttori” per far comprendere anche alle famiglie l’importanza e la necessità del  percorso intrapreso».

Tutto questo fa del servizio educativo domiciliare un intervento importante, ma molto delicato: l’educatore entra – con tutte le precauzioni e la delicatezza necessarie – in una casa che ha le sue regole e le sue abitudini. È ospite. «Ma non è solo», prosegue Trapin. «È parte di una progettualità che Solidarietà e Servizi esprime e di una rete che la cooperativa mette in campo nella presa in carico di una persona». 

Di fatto, come ricorda Benedetta Bistoletti, una delle educatrici di Solidarietà e Servizi destinataria della telefonata iniziale, «l’ingresso dell’educatore in una casa porta alla rottura di un equilibrio che deve essere ricostruito attraverso l’acquisizione di fiducia. Ci vuole tempo, ma è importante fornire alla famiglia tutti gli strumenti di cui ha bisogno mettendo in atto strategie educative che possano funzionare in futuro, anche a prescindere dalla presenza o meno dell’educatore stesso». Il lavoro è duplice: non c’è solo il minore con disabilità. «L’intervento educativo diventa – di riflesso – occasione di crescita e di rilancio per i genitori e/o per gli altri membri della famiglia. E il caso della  palla è esemplare: la mamma ha compreso i miglioramenti avuti dal figlio e quali possono essere gli strumenti che possono essere utili nella sua crescita».

È un lavoro di squadra. Perché nella presa in carico di una persona che ha delle difficoltà, ci si prende in carico anche tutto il suo mondo.