«Non credevo ci fosse un posto come questo»

Nell’ambito di un progetto di orientamento rivolto alle scuole secondarie di primo grado, venti studenti dell’Istituto Comprensivo De Amicis di Busto Arsizio in visita al capannone di viale Toscana di Solidarietà e Servizi

I ragazzi e le ragazze dell’Istituto Comprensivo De Amicis di Busto Arsizio in visita alla sede di viale Toscana

«Lavorano veramente? Vengono pagati? Ma che disabilità hanno (di alcuni non si vede…)? Quante ore vanno al centro ogni giorno?» Molte le domande di questo tipo nei ragazzi e ragazze delle medie dell’Istituto De Amicis di Busto Arsizio che, all’inizio di maggio, accompagnati dai loro docenti, hanno fatto visita a Solidarietà e Servizi presso il capannone di viale Toscana 105, sede di due centri socio educativi  e “casa” dell’area inserimento lavorativo, con 112 lavoratori assunti di cui 77 con una disabilità fisica, psichica o sensoriale.

UN PROGETTO PER AVVICINARSI AL MONDO DEL LAVORO

L’incontro nasce da una richiesta della scuola, nell’ambito di “Crescere insieme, dalla scuola all’azienda”, un progetto di orientamento, finanziato con i fondi del PNRR e dedicato alle classi prime e seconde, per combattere il fenomeno della dispersione scolastica. «Nel nostro istituto stiamo organizzando dei pomeriggi esperienziali con l’obiettivo di far avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro alla scoperta delle diverse professioni presenti nel nostro territorio. Crediamo che l’incontro con esperti del settore possa fornire loro una visione pratica e ispiratrice delle opportunità future.» A parlare è Emanuela Manto, docente di tecnologia della scuola.

E così, dall’idea ai fatti, una ventina di ragazzi e ragazze si sono “iscritti” in modo volontario a questi “pomeriggi alternativi”. Quattro visite in totale, tre in realtà aziendali – Eolo, Mario Cavelli, Centro Cotoniero Bustese –  e l’ultima, in ordine temporale, in Solidarietà e Servizi, dove attraverso l’incontro con persone impegnate nelle proprie attività quotidiane, hanno fatto esperienza di cosa sia un’impresa sociale.

ALLA SCOPERTA DEL CENTRO SOCIO EDUCATIVO…

Eccoli allora alla scoperta degli spazi dedicati al Centro Socio Educativo. Di laboratorio in laboratorio, i ragazzi hanno presto familiarizzato con il significato che si cela dietro a inaccessibili, in prima battuta, acronimi come CSE e SFA (Centro Servizi Educativi, Servizi di Formazione all’Autonomia). Da sigle enigmatiche, queste sono diventate nomi, volti precisi, voci definite di persone che si possono conoscere e con cui è possibile dialogare. Mentre i ragazzi hanno incontrato differenti gruppi impegnati in altrettante attività, come il gruppo di parola, il gruppo di canto, il laboratorio artistico e quello di avviamento al lavoro… Carmen Sportiello, coordinatrice dell’area educativa di viale Toscana ha spiegato loro la mission: supportare persone con fragilità attraverso progetti per l’autonomia che prevedono lo svolgimento di attività tramite le quali valorizzare i talenti e far emergere le competenze di ciascuno

…E DELL’AREA INSERIMENTO LAVORATIVO

Dopo l’area educativa, ad attenderli un’altra sfida. Due rampe di scale ed eccoli catapultati all’interno della realtà produttiva, dove ogni giorno arrivano commesse da oltre 20.000 pezzi e dove più di 70 persone con fragilità lavorano con un regolare contratto di lavoro, uno stipendio vero, inserite in un contesto lavorativo vero, composto da differenti settori produttivi, che vanno dagli assemblaggi alla rigenesi di apparati elettronici e alla gestione documentale, fino alla gestione di processi di backoffice amministrativi e commerciali.

«Cosa sono questi?» ha chiesto ai ragazzi Filippo Oldrini, responsabile dell’area inserimento lavorativo della Solidarietà e Servizi,  indicando degli apparecchi elettronici riposti su alcuni scaffali. A partire da questa domanda le classi hanno scoperto un bell’esempio di economia circolare. Il reparto in cui si trovano si occupa infatti di recuperare i modem per la connessione internet per conto di diversi operatori telefonici, di verificare il loro funzionamento, per rigenerarli, re-inserendoli sul mercato.

Qualche metro oltre gli studenti hanno incontrato una ragazza impegnata a maneggiare con cura un documento del 1700. Sul suo banco da lavoro una complessa struttura sostiene una fotocamera ad altissima risoluzione. Ben presto capiscono che ciò a cui stanno assistendo è un processo di digitalizzazione, per far sì che la conoscenza racchiusa in diversi documenti possa essere diffusa anche su internet, venendo così preservata dall’usura a cui è soggetto un documento fisico.

Il tour continua al piano più alto della struttura. Davanti a loro un call center in cui persone con fragilità operano su commesse di importanti realtà come Novartis o Eolo, assistendo i loro clienti. 

«Mi hanno colpito molto – testimonia Filippo Oldrini –  l’interesse dei ragazzi e le loro domande, segno  del grande lavoro dei loro insegnanti, ma  anche dello stupore che spesso riscontriamo in chi viene a visitarci e tocca con mano una realtà dove i lavoratori svantaggiati sono sullo stesso piano dei loro colleghi, dal punto di vista della qualità del lavoro offerto, delle possibilità economiche e anche delle possibilità di “carriera”. Dove non sono le nostre fragilità a definirci

UN’OCCASIONE PER AMPLIARE LO SGUARDO

«Per tanti dei nostri ragazzi – commenta la professoressa Manto – è stata la prima volta in cui si sono misurati con il mondo della disabilità. La maggior parte di loro non ha mai incontrato una persona con disabilità da vicino e le poche volte che le hanno incrociate, il vissuto è stato quello di  un “problema da gestire”. Per i ragazzi è stata dunque una grande occasione di apertura e di scoperta, per ampliare lo sguardo.»

«Quando ne abbiamo parlato in classe qualche giorno dopo, avevano ancora in mente Antonio, una persona con sindrome di Down che, quando ci ha visti, ci ha accompagnato lungo il percorso e spontaneamente ci ha fatto da “Cicerone” con un grande entusiasmo.»

NON SAPEVO CI FOSSE UN POSTO COME QUESTO

«Cosa ci portiamo a casa? – continua – Oltre alla buonissima merenda, una preziosa esperienza di apertura: aver toccato con mano una realtà di cui ignoravamo l’esistenza, aver visto un luogo dove le persone, nonostante alcune loro fragilità, sono aiutate a diventare autonome e a realizzare il proprio progetto di vita. Siamo abituati a pensare che chi è più fragile vada solamente protetto, messo in una bolla.  Qui, invece, abbiamo fatto esperienza che anche chi è fragile può essere protagonista e aiutato a compiere i propri passi».

Emblematico, a questo proposito, il commento di Simone, un ragazzo di seconda media che ha un fratellino con disabilità: «Non sapevo ci fosse un posto come questo. Finora credevo che a “gestire mio fratello” ci potessero essere solo mamma e papà. Che futuro avrà? Chi si prenderà cura di lui? Domande a cui, finora, non ero riuscito a trovare risposta. Oggi ho visto un luogo dove le persone con disabilità fanno tante attività e sono aiutate a diventare autonome. E questo mi dà speranza».

«Grazie della grande occasione che avete dato a me e i miei alunni oggi, la scoperta di una realtà bella e preziosa», con questo messaggio della professoressa si chiude la giornata.