Speciale Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità: Creatività e collaborazione per “non lasciare indietro nessuno”

Per la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, i veri «Progetti di vita» di Solidarietà e Servizi

Mai come quest’anno è d’attualità il tema della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, che si celebra nel mondo tutti gli anni il 3 dicembre fin dal 1981. Quell’imperativo “non lasciare indietro nessuno”, mutuato dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ribadisce la necessità di porsi ogni giorno al fianco delle persone con maggiori fragilità, sostenuti da una spinta ideale e in un’ottica progettuale. Immediato il richiamo al claim di Solidarietà e Servizi “Mai più soli … Insieme ci riusciamo”, che sintetizza la mission della cooperativa. 

«È un tema che, in un periodo di emergenza come quello che stiamo vivendo, pone una contraddizione in termini. Da una parte, ci sono il desiderio e la necessità di non lasciare sola nessuna delle persone che abbiamo in carico e delle quali ci prendiamo cura: vicinanza relazionale, prosieguo dei percorsi riabilitativi e di assistenza, mantenimento dei legami sociali; dall’altra, c’è una realtà che prescrive la distanza e usa termini quali isolamento e quarantena», osserva Giacomo Borghi, responsabile dell’Area Servizi Diurni, Residenziali e Autismo di Solidarietà e Servizi.

«Ciascuno dei nostri operatori ha vissuto e vive in prima persona questa profonda dicotomia, tra il “voler restare con” e tutto ciò che invece la pandemia ci costringe a mettere in atto. Ma in tempo di Covid, la nostra scelta è stata chiara. Per Solidarietà e Servizi il “non lasciare indietro nessuno” significa ripensare le proprie attività, riprogettare gli obiettivi, darsi nuove priorità con creatività e collaborazione. Innanzitutto la creatività: è quella che hanno espresso e continuano a esprimere quotidianamente i nostri operatori che hanno saputo mettersi in gioco in prima persona, reinventando modalità, tempi e spazi con una prospettiva capace di definire sempre degli obiettivi».

Non certo seconda, la collaborazione: è il tema della progettualità che non può essere fatta da una sola persona. «Educatori, coordinatori, infermieri e medici, ma anche referenti dei Comuni, familiari, amministratori di sostegno e medici di base: tutti concorrono a definire il Progetto di vita della persona che abbiamo in carico. Un progetto per ciascuna delle 67 persone che vivono nelle nostre case, comunità e appartamenti, e delle oltre 400 che quotidianamente frequentano i Centri diurni; un Progetto di vita che ci permette di non lasciare indietro nessuno». In questo quadro di co-progettazione la persona con disabilità «non è una figura passiva, ma soggetto attivo: è il vero protagonista del proprio progetto. Un approccio sfidante che, soprattutto in questo periodo di emergenza, ha visto l’intervento degli operatori che, con intelligenza, professionalità e umanità, hanno cercato di condividere la fatica che qualcuno più di altri sta facendo», aggiunge Borghi. In quest’ottica, d’esempio è la decisione, presa insieme ai Comuni, di mantenere attivi i servizi diurni in agosto: è stata una risposta di collaborazione e co-progettazione a reali bisogni acuiti dal lockdown.

Per Solidarietà e Servizi Progetto di vita personalizzato significa anche creare tutte le condizioni affinché una persona possa accedere ai servizi residenziali. «La necessità di avere un’occupazione diurna viene supportata dalla ricerca di un lavoro, insieme con l’Area Inserimento Lavorativo e i Servizi sociali», aggiunge. Ma anche «trovare all’interno di una delle nostre case le soluzioni più appropriate per sviluppare l’autonomia. Perché le nostre strutture residenziali non sono spazi dove si eroga un servizio, ma luoghi – case, appunto – dove si vive la vita».

Progetto di vita è anche il percorso di un ultra cinquantacinquenne che, rimasto gravemente invalido dopo un incidente, ha potuto fare attraverso l’offerta di una sistemazione abitativa adeguata alle proprie necessità e all’aver scommesso sulla centralità dell’attività occupazionale per mantenere motivazioni, autostima anche nel rapporto con la famiglia. «Un approccio assistenziale non avrebbe permesso di raggiungere questi risultati», osserva Borghi. «Insieme con l’Area Inserimento Lavorativo siamo andati a valorizzare le sue capacità».